lunedì 14 luglio 2008

Chagall e la percezione creativa


Per l'Arte alchemica, da non confondere con l'Alchimia intesa come scienza (magia) di trasformazione della materia, la differenza psicologica delle donne è il cardine dell'evoluzione della società, della cultura e della spiritualità. Gli istinti femminili bilanciano quelli maschili affinché l'istinto di sopravvivenza (maschile) sia finalizzato alla conservazione della specie e l'stinto all'azione (maschile) diventi efficacie e produttivo quando stimolato dall'istinto di equilibrio (femminile). Lo sguardo della donna modella da millenni l'azione impulsiva e aggressiva degli uomini al fine di garantire alla famiglia o alla collettività il massimo grado di confort, benessere, bellezza e giustizia sociale.

La percezione femminile, rappresentata nella mitologia da Venere, è l'interprete invisibile dei bisogni autentici, delle necessità sociali, dei desideri comuni, delle aspirazioni dell'anima, anche quando è "ridotta in cenere" come l'araba fenice, bistrattata come Cenerentola, omologata e ridotta a numero dai sondaggi pubblicitari e politici e sfruttata dall'astuzia maschile quando primeggia nei ruoli che le competono (vedi il film What the woman want).

Ogni cambiamento concreto della società è stato determinato dalla percezione femminile. Nella preistoria spettava alla donna guidare il gruppo alla ricerca dei luoghi più idonei alla conservazione della vita...nella metà del settecento furono le donne a istigare la rivoluzione francese e oggi, non meno di ieri, sono molte le donne che chiedono ai mariti di "prepararsi ad assaltare i supermercati" se non ci saranno più le condizioni di equilibrio. Ma è soprattutto nella dimensione artistica e spirituale, congiungendosi con l'immaginazione creativa maschile, che la percezione femminile individua gli elementi che possono condurre l'umanità verso il benessere, la pace, l'armonia e la bellezza.

Chagall intuisce che lo sguardo femminile svolge un ruolo di guida, sia nel mondo materiale (la terra) che in quello spirituale (il cielo). Nel mondo materiale è indispensabile interpretare i simboli prodotti dalla mente androgina delle donne, mentre nel mondo spirituale diventa importante imparare a decodificare i simboli generati dalla mente femminile degli artisti, dei poeti e dei mistici (gli androgini) per pervenire alla comprensione della verità.

E' per questa scoperta di poter congiungere immaginazione creativa e conoscenza dei simboli (la città) che Chagall inizia a volare nel cielo (coscienza spirituale) insieme a Bella (la moglie), incarnazione vivente dell'anima creativa in grado di proiettare ogni individuo al di sopra della dimensione materiale. L'anima creativa indica con il braccio proteso in avanti la strada da seguire, mentre lo sguardo dell'artista si volta all'indietro ad osservare il percorso "storico" artistico e intellettuale, o rintracciare nella memoria emotiva (il vestito verde) il ricordo delle emozioni provate con la propria "Sposa, vestita di blu e azzurro".

L'artista che evolve in "Conoscenza e Virtute" (Dante) "vibra" nelle frequenza del blu e dell'azzurro, simbolo di coscienza, conoscenza e creatività dell'anima. Il dipinto descrive uno stato di estasi indotto dalla sensazione di essere "guidato" dall'anima creativa verso uno stato di perfezione, amore e conoscenza di sé e del mondo.

La casa rossa che si intravede nel villaggio è il luogo in cui avviene la metamorfosi. Il rosso è il colore simbolo della Rubedo, il secondo atto di trasformazione alchemica della pulsione psichica in amore, creatività e coscienza che ogni individuo realizza dentro se stesso attraverso l'amore di coppia (il tantra degli orientali) o da solo (l'esercizio della creatività dell'anima: scrittura, pittura, teatro, musica, ecc...)
www.pietronegrieditore.blogspot.com

martedì 8 luglio 2008

Chagall e l'Alchimia


Dai tempi del Rinascimento l'immagine della donna descrive metaforicamente i processi di metafomorfosi della pulsione psichica, artefice dell'irrazionalità dei comportamenti umani, a un livello di consapevolezza di sè indispensabile per comprendere il duplice volto dell'anima.

Le immagini degli animali descrivono invece stadi intermedi di trasformazione dell' energia psichica istintiva, gradualmente modellata dall'educazione, dalla riflessione, dall'autonalisi e soprattutto dai rapporti sociali e sentimentali.

Chagall dispone sulla scena i simboli della triplice trasformazione della consapevolezza sensoriale delle pulsioni (l'asina sulla sinistra) in consapevolezza critica dei comportamenti subconsci (la capra in piedi) e infine in consapevolezza razionale delle motivazioni che spingono gli individui ad essere folli e impulsivi (la donna con le mani sui fianchi posta sull'estremità destra del dipinto).

In forme non dissimili da quelle utilizzate dagli artisti del Rinascimento, Chagall utilizza le immagini simboliche per comporre una sua particolare "sinfonia musicale", metafora della capacità dell'anima creativa (la Sposa Bifronte) di esprimere i desideri del cuore (la parte sinistra del viso con il seno scoperto) e gli ideali morali, etici e spirituali assimilati dal sistema della cultura e della religione (la parte destra del viso coperto da un velo).

L'anima creativa emerge in ogni individuo che evolve nella consapevolezza di sè (la triplice metamorfosi dell'energia psichica istintiva) e nella conoscenza della "musica spirituale" composta dagli artisti, dai poeti e dai letterati (i tre musici) che ci hanno preceduto.

LA trasformazione naturale degli istinti si sviluppa all'interno di ogni essere che si predispone ad accogliere la bellezza dei sentimenti del cuore (il mazzo di fiori) e gli insegnamenti spirituali dei maestri, dei saggi e degli illuminati (Il ventaglio bianco descrive una raggiera con sette elementi, metafora delle sette virtù, dei sette sacramenti, dei sette chakra, dei sette stati di coscienza, ecc...).

Questo duplice orientamento, artistico e filosofico, ha il pregio di espandere la percezione della realtà e l'intuizione delle verità occultate sotto i veli, metafora delle illusioni, ma anche delle parole e delle immagini che mistificano la verità. Chagall dipinge, nascosta sotto una coltre di nuvole bianche, la falce crescente della luna al primo quarto, simbolo della prima dimensione creativa dell'esistenza sperimentata dall'artista che utilizza simultaneamente le facoltà creative e cognitive dei due emisferi cerebrali.

mercoledì 11 giugno 2008

Il Paradigma dell'Arte Moderna


C'è un filo sottile, praticamente invisibile, che lega ogni forma di cambiamento. Si produce un vero cambiamento quando si riesce a modificare il paradigma di base che influenza, controlla e domina lo sviluppo del pensiero logico-razionale finalizzato ad affrontare i problemi della vita e dell'esistenza.

"Il paradigma svolge un ruolo allo stesso tempo sotterraneo e sovrano in ogni teoria, dottrina o ideologia. Il paradigma è inconscio, ma irriga il pensiero cosciente, lo controlla e , in questo senso, è anche sovracosciente. Il paradigma istituisce le relazioni primordiali che si costituiscono in azioni, determina i concetti, domina i discorsi e le teorie.." (E. Morin).

Viviamo ancora immersi nel paradigma cartesiano che si è imposto a partire dal XVI secolo, periodo in cui avviene l'immediato declino del pensiero alchemico. "Il paradigma cartesiano disgiunge il soggetto e l'oggetto, ciascuno con la propria sfera: da una parte la filosofia e la ricerca riflessiva, dall'altra la scienza e la ricerca oggettiva. Questa dissociazione tra interno ed esterno, soggettivo e oggettivo, anima e corpo, spirito e materia, qualità e quantità, finalità e casualità, sentimento e ragione, libertà e determinismo, esistenza ed essenza determina i Concetti sovrani e la relazione logica: la disgiunzione.

Questa visione determina un doppia percezione del mondo che si traduce di fatto in uno sdoppiamento dello stesso mondo. L'arte moderna nasce da questa precisa consapevolezza della disgiunzione determinata dal paradigma cartesiano in ogni aspetto della vita e della società.

Da una parte si percepisce un mondo di oggetti sottoposti ad osservazioni, sperimentazioni, manipolazioni, per cui l'arte imita il metodo scientifico sottoponendo l'oggetto ad una indagine logica/sensibile che gradualmente giunge a deformare la percezione oggettiva della realtà (Van Gogh). Dall'altra si "impongono" all'attenzione un mondo di soggetti che si pongono problemi di esistenza, di comunicazione, di coscienza e di destino (Gauguin) e sono in grado di rappresentare una diversa visione della realtà producendo immagini "semplici" e "intense", cariche dei simboli della trasformazione.

Esistono quindi, all'interno dell'universo creato dal paradigma cartesiano, due modalità di percezione che operano in forma disgiunta. Entrambe possono chiarire e accecare, rivelare e occultare, poiché in seno al'Arte Moderna si dibatte il tema del significato della verità oggettiva o soggettiva e l'eterno gioco della
verità.

L'Arte Moderna si configura come il tentativo della mente di superare ogni forma di dualismo innescato dal paradigma cartesiano, procedendo dai due estremi immaginari (oggettività e soggettività) verso un ipotetico punto di congiunzione centrale (il ruscello). Se si procede a studiare la distorsione della percezione generata dal paradigma nel subconscio, si può giungere a comprendere il processo che lega la percezione all'arte, l'arte alla coscienza e la coscienza all'azione finalizzata a un cambiamento del paradigma.

L'arte tende sempre all'unità sia cerebrale che biosocioculturale ed è, per sua intrinseca natura, una tecnica alchemica di ricomposizione del maschile nel femminile e viceversa.

Gauguin dipinge il cavallo bianco sulla riva di un ruscello. E' da solo, libero da ogni forma di giogo umano (sovracosciente). Simbolo della mente che integra la percezione simbolica della realtà nella visione oggettiva dei soggetti, il cavallo diventa l'emblema della liberazione della mente dall'influenza paradigmatica. Sullo sfondo i due cavalieri, metafora della dualità della percezione rivolta separatamente all'interno o all'esterno di se stessi, si allontanano nel silenzio enigmatico della foresta, luogo per eccellenza della manifestazione "iperconscia" della verità (la favola di Hans e Gretel)

De Chirico e la teoria della relatività

GIORGIO DE CHIRICO E LA TEORIA DELLA RELATIVITÀ
di Ralph Schiebler

Dalla conferenza tenuta alla Stanford University, ottobre 1988

[...] Nel 1911 Marcel Duchamp dipingeva Jeune Homme triste dans un train e nel 1912 la celebre seconda versione del Nu descendant l'escalier, immagini "continue" (secondo la definizione di Franz Wickhoff) di momenti in successione - sebbene in dissolvenza e difficilmente definibili - relative a un corpo in movimento. Il quadro fece sensazione all'Armory Show di New York nel 1913. Sempre guardando ai mezzi di locomozione, nello stesso anno Duchamp montava una comune ruota di bicicletta su una base, dando così il via all'arte cinetica.
A fronte di simili vorticosi movimenti, sorge la figura statuaria e classica di Giorgio de Chirico. Guardiamo il suo Les plaisirs du poète, dipinto nel 1912 a Parigi, effervescente capitale dell'avanguardia, ora al MOMA, New York. Non si può concepire una differenza più grande rispetto alle opere appena menzionate. La prima impressione è di una rigida fissità. Per un verso, ciò è ottenuto con l'uso di una forte sebbene leggermente deviata prospettiva lineare, un sistema che sembrava liquidato e dissolto con Paul Cézanne; per un altro verso, l'effetto è ottenuto per mezzo di una sorta di fossilizzazione. La piazza completamente spoglia di vegetazione, che include una figura solitaria, condivide con questa un senso di afflizione. Tuttavia noi non viviamo uno stato di immobilità, perché qualcosa nel quadro allontana dall'immobilità (piuttosto eterna che momentanea). C'è un treno che si avvicina alla stazione; ci sono bandiere fluttuanti nel vento, come avrebbe detto Hölderlin; c'è una fontana che zampilla nel caldo del mezzogiorno, con il suo contorno rastremato trapezoidale, non si sa se per effetto prospettico o reale; ci sono, soprattutto, le frecce dell'orologio che segnano le due del pomeriggio. L'avanzare di un minuto della freccia sinistra, curiosamente, è molto simile a quello della luna: esattamente al limite tra i movimenti percepibili e quelli impercettibili all'occhio umano. Dall'altra parte, la luce del sole che arde implacabilmente sulla piazza mediterranea, resa più intensa dalle ombre profonde, è un po' troppo rapida per poter essere percepita. In questo modo, una lancetta sembra ferma allo stesso modo della luce. Il tempo è strettamente connesso con la velocità della luce, come vedremo in dieci minuti. Il tempo, inoltre, è la base per determinare la velocità e l'accelerazione. Oggi, anche l'unità di misura - che un anno dopo la nascita di de Chirico fu definita come la distanza tra due segni su una barra in lega di platino-iridio a forma di X nei pressi di Parigi - è definita come la distanza percorsa dalla luce in una piccolissima frazione di un secondo. Così il XIX° secolo fino al 1914, definito l'età dell'accelerazione, potrebbe essere definito anche come l'età del tempo, ossia un'epoca in cui il tempo trascorre apparentemente più veloce, o un'epoca di crescente consapevolezza del tempo. Ho già menzionato esempi nel campo delle arti visive in cui si riflette la coscienza del tempo. Va aggiunto, tuttavia, un esempio tratto dal campo letterario: The Time Machine, di Herbert George Wells. La macchina del tempo fa viaggiare il lettore nel futuro o nel passato (quando non lo rimuove dal quadro tridimensionale). Questo "romanzo scientifico", come lo chiama il suo autore, fu pubblicato nel 1895, lo stesso anno in cui Albert Einstein conduceva un esperimento matematico in grado di convincerlo che il concetto tradizionale di spazio e di tempo avrebbe potuto non essere corretto. Wells aveva pubblicato una prima versione del suo lavoro nel 1888 sotto il titolo The Cronic Argonauts. Quell'anno, Giorgio de Chirico nasceva in Tessaglia nella città greca di Volos, sede dell'antica Iolcos, da cui secondo la mitologia greca, gli Argonauti Giasone, Orfeo, Eracle ed altri, si erano messi in viaggio alla ricerca del Vello d'oro. De Chirico amò immaginare se stesso come uno di quegli eroi a bordo dell'Argo (negli anni Venti egli dipinse La partenza degli Argonauti). Della nave Argo si disse - ed è rilevante - che era in grado di viaggiare alla velocità della luce. Nella sua rotta verso il Mar Nero essa passò per le Simplegadi, uno stretto pericoloso sul Bosforo dove due rocce oscillanti schiacciavano ogni creatura che tentava di passare. L'Argo, passando, ruppe l'incanto e le rocce si bloccarono per sempre. È questo che anticipa la teoria della relatività: per chi viaggia alla velocità della luce, il mondo apparirà nella direzione del movimento e veramente sarà altrettanto piatto come un quadro di Giorgio de Chirico; il tempo in questo mondo cesserà di trascorrere. Ritorniamo a Les plaisirs du poète. Solo un orologio non basterebbe a dedurre che il tempo è l'argomento principale del quadro. Né sarebbe di per sé sufficiente notare che il tempo è concluso per il fatto che un orologio dipinto o fotografato ha perduto il suo movimento. In questo dipinto, tuttavia, per prima cosa noi vediamo tre diversi tipi di cronometri: un orologio ad acqua - uno dei più antichi strumenti di misura dei tempo - indicato dalla fontana; una meridiana, indicata dalle ombre vaganti sulla piazza e sotto le arcate; l'orologio meccanico sulla stazione. Tale varietà di cronometri - cui andrebbe aggiunto l'"orologio di pietra" costituito dall'architettura in disfacimento - illustra una varietà di tipi di tempo, in particolare il tempo astronomico e atomico, che, inconsistenti, richiedono balzi in sequenza. Il tempo astronomico, infatti, è talmente inconsistente in se stesso da richiedere anni bisestili.
L'osservazione successiva, sull'arresto del tempo, è che le lancette bloccate sono incastrate in una composizione estremamente ferma e fissa, con una impressione di inalterabilità. De Chirico riesce a produrre un'atmosfera di eternità, quella stessa che lui ha sentito in momenti di "rivelazione", quasi "morbidi istanti di sensitività", vissuti a Firenze e a Torino. Il risultato è un umore trascendentale che si libra al di sopra delle pietre. Ugualmente strani sono il cielo verde e - ancora nel gusto del poeta - il contrasto tra la natura più elevata e il suo massiccio fondamento nella realtà fisica. Il lato in comune tra le Idee platoniche e le costruzioni architettoniche e pittoriche che vediamo nei quadri di de Chirico è la loro considerevole resistenza al flusso del tempo.
Oltre che scelte di atmosfera, de Chirico opera anche scelte allegoriche. Non tuttavia nel modo testé citato dal Faust di Goethe: "L'orologio si fermerà, le sue lancette si romperanno, il tempo sarà dietro di me". E questo solo perché nei tempi antichi, e specialmente dal Rinascimento, i filosofi dotati di un pensiero del tempo e dello spazio sono strettamente associati al temperamento di melanconia. De Chirico spesso condensa un umore melanconico sopra le sue Piazze d'Italia, che diventano materializzazioni di "Melanconia".
La Récompense du devin, del 1913, è ora al Philadelphia Museum of Art. Sulla ribalta, addormentata sulla sua base in un contorcimento cubista, è distesa la vigorosa figura della Melanconia. Le sue fattezze risultano dalla consapevolezza che il tempo è transitorio, sebbene essa lo verifichi nelle profondità del pensiero o del sogno. L'ora del giorno è tre o quattro minuti prima di Les plaisirs du poète e il treno al di là del muro va un po' più veloce. Ciò si intende dal fatto che il vapore è spinto verso destra contro il vento che soffia forte da destra, come dicono anche le bandiere sulla stazione. La stazione è un altro elemento allegorico o almeno metaforico. Una stazione, alla lettera, è il luogo in cui le cose stazionano. Possiamo vedere i quadri di de Chirico come stazioni dove la freccia (il treno) del tempo subisce un arresto, come sale d'attesa del tempo. In tal caso abbiamo un "distinguere" improvviso alla maniera di Le Derby d'Epsom (1821) di Théodore Géricault il quale, come de Chirico, "era nato sotto il segno di Saturno" (cosa che ne faceva un melanconico)? La risposta è no, perché sembra, al contrario, che il momento decisivo - noi ricordiamo, caratteristica del distinguere - nei quadri di de Chirico è staccato e rimosso dalla vita normale. È dissimulato e scolorito. Anche il tempo è più che arrestato, noi lo stiamo perdendo. Mentre nel Derby d'Epsom la distinzione dell'immaginazione cala mentre ci muoviamo verso il passato o il futuro rispetto al momento della rappresentazione, i quadri di de Chirico e soprattutto quelli eseguiti tra il 1910 e il 1919, sembrano una scatola nera a dispetto della loro alta illuminazione. Più noi perdiamo la situazione familiare rappresentata nelle Piazze d'Italia, che presumibilmente precedono e seguono i momenti descritti nei quadri, e più siamo concentrati su di essi, immersi sui loro veri centri, la cosa più enigmatica che essi posseggano. Così essi sono stranamente assomiglianti nella loro struttura a immagini "di completamento" (ancora secondo Wickhoff) quali quelle di Giotto, in cui anche scorgiamo che l'istante cruciale è eclissato. Davvero con de Chirico si ritorna da questo punto di vista al Medio Evo. Se Géricault è il pittore del movimento, Giotto e de Chirico sono pittori del riposo. Dunque apparirà stupefacente se io suggerisco una profonda affinità tra de Chirico e Albert Einstein, quest'ultimo normalmente associato a termini come "rivoluzionario"e visto in relazione allo spirito moderno. La verità invece è che per la teoria generale della relatività non fa alcuna differenza se la terra s rivolge su se stessa o se il sole gira intorno alla terra. Questo spiega Douglas R. Hofstader, e sono dieci punti di vantaggio per l'infallibilità del Papa. In una spiegazione popolare della teoria della relatività, Einstein propone un ingegnoso ragionamento sull'inversione di evento in un comune caso familiare come la corsa di un treno. Egli dice che un passeggero non deve per forza ascrivere uno scossone che ha sentito a un "reale" rallentamento del treno. L'interpretazione del passeggero potrebbe essere al contrario: "La carrozza in cui sono seduto è ferma in assenza di moto. Ma (nel corso della frenata) c'è un campo gravitazionale (variabile nel corso del tempo) che spinge nella direzione in cui si ritiene che il treno stia correndo. Si crea così un terrapieno che muove nella direzione opposta, in ordine alla terra come un tutto, e diminuisce la velocità. È questo campo gravitazionale la causa del sobbalzo sentito dall'osservatore". Questo significa che prendere il sole come corpo di riferimento, così come vuole Copernico, oppure la terra, come vuole Tolomeo e la maggior parte delle persone nella vita di ogni giorno, è una questione di convenienza ma di uguale valore fisico. "Riposo" o "moto" sono nozioni relative. Non esiste punto, posto o sistema nel mondo che sia superiore agli altri sulla base dei suo riposo assoluto. Nell'usare tale assioma come uno dei due pilastri della sua costruzione, Einstein distrusse la cosiddetta ipotesi eterea, che aveva predominato nel XIX secolo. Secondo questa, le onde elettromagnetiche, per trasmettersi, necessitavano dell'etere, che stava in assoluto riposo nello spazio. Egli lo tradusse in fantasma dotato di facoltà psicologiche ma per niente fisiche. Le leggi della natura sono le stesse in ogni riferimento circoscrivibile, qualunque sia lo stato del moto. L'espressione "stato di moto" mostra realmente che per la teoria oggetti mobili sono resi statici, perché altrimenti non sarebbero esaminabili. La famosa freccia di Zenone di Elea nel V secolo a.C. è di fatto immobile anche se noi la seguiamo nel pensiero. Sembra che la mente umana sia un grande immobilizzatore impegnato a conservare il possesso di cose importanti che tenderebbero a svanire. Perciò io trovo affinità tra Einstein, il pensatore, e de Chirico, il pittore del riposo. Fino a oggi, gli sviluppi della fisica al principio del XX secolo sono stati spesso associati con i cubisti, i futuristi, i raggisti e con Duchamp, per il loro ovvio carattere dinamico e azionista. In The Fourth Dimension and Non-Euclidean Geometry in Modern Art, un libro voluminoso, Linda Darlymple Henderson non menziona de Chirico. A una visione superficiale, ciò è incomprensibile. Essa riporta che F.T. Marinetti, "padre" del Futurismo, incerto sul nome da dare alla sua figlia, passava da "Dinamismo" a "Elettricità", e che, per un altro verso, considerava che lo scritto iniziale della relatività di Einstein portava il titolo Elettrodinamica dei corpi in movimento. Quella è una concordanza a parole, non in spirito.
Nel citare l'esempio del treno che frena, o rispettivamente del terrapieno ribassato sotto l'influenza di un campo gravitazionale, sono già saltato oltre la teoria generale della relatività, che fu completata nel 1915-16. Ma procediamo un passo alla volta cominciando dal principio. In Elettrodinamica dei corpi in movimento, pubblicato nel settembre 1905 sulla rivista mensile tedesca "Annalen der Physik", il termine "teoria della relatività" non ricorre. Due anni dopo Einstein lo adopera, alquanto casualmente, in un altro scritto. E certo, il primo scritto non potrebbe essere considerato come quello in cui viene esposta o iniziata la Teoria speciale della relatività, quando fino a quel momento si era parlato solo di Teoria generale della relatività. La differenza fra le due teorie risiede nel fatto che la Teoria speciale della relatività è collegata a quadri di riferimento in moto relativo l'uno rispetto all'altro a velocità costante, in direzioni invariate e senza rotazione - i cosiddetti quadri inerti galileiani di riferimento - mentre la Teoria generale della relatività concerne sistemi coordinati in accelerazione relativa uno rispetto all'altro. Sebbene Einstein proceda sia arrestando sia accelerando i sistemi - "fissando l'immaginazione", come disse una volta (ossia immaginando l'osservatore seduto su un disco in movimento costante) - le cose sono più chiare con movimenti uniformi. Allorché egli, nel 1905, parlò di "principio di relatività", questo era già - nel senso meccanico o cinematico - ben noto a Galilei (il quale, incomprensibilmente, potrebbe non aver capito le difficoltà che ciò avrebbe causato all'elettrodinamica). Galilei osservò che un individuo prigioniero all'interno di una grande nave su un mare sereno non può sapere se la nave è ferma oppure sta galleggiando a una velocità costante relativa alla terra. Noi ricordiamo che nel Derby d'Epsom Géricault per prima cosa scelse un quadro di riferimento relativo in cui i cavalli stavano fermi e i prati si muovevano. Nei quadri di de Chirico che stiamo guardando, l'artista, apparentemente intento a enfatizzare il principio che il riposo è movimento e il movimento è riposo, nella seconda parte integra due quadri di riferimento: uno relativo al fatto che la stazione è ferma e l'altro relativo al fatto che il treno è fermo. Nella Gare de Montparnasse del 1914 (The Museum of Modern Art, J.T. Soby Bequest) sembra come se de Chirico avesse aggiunto un terzo quadro di riferimento, il vapore della locomotiva. Come minimo un critico concluderebbe che il vapore, alzandosi dritto nell'aria, crea "discontinuità" nella pittura, perché le bandiere, al contrario, sventolano nel vento. C'è inoltre discontinuità nello spazio, considerando l'ardita prospettiva, c'è discontinuità nello stile, considerando la maniera puntinista di trattare il cielo, e c'è discontinuità di tempo, ma il motivo non è il vapore: il vento sta soffiando alla stessa velocità e nella stessa direzione dei treno. L'assunto di discontinuità del tempo era già implicito nel fatto di aver messo a confronto le immagini di de Chirico con lo stile "di complemento" di Giotto. Sicché bisogna che stiamo attenti quando parliamo del "momento" esibito da de Chirico. Quale momento? Sorge una domanda: è lo stesso punto del tempo quello delle due figurette in piedi di fronte alla stazione di Montparnasse e quello di un passeggero sul treno? I loro orologi sono sincronizzati? È precisamente la stessa domanda posta da Einstein, giunto a spiegare la teoria speciale della relatività. Egli usa lo stesso leitmotiv, la locomotiva. Poiché il sincronismo implica la simultaneità dei rispettivi "colpi" di due diversi orologi, si richiede una definizione in ragione della quale noi possiamo stabilire se è possibile oppure no che due eventi in corso a grande distanza uno dall'altro accadano simultaneamente. Il modo più rapido per scoprire che un evento c'è stato è un segnale che viaggi alla velocità della luce - solo un dio può avere conoscenza istantanea e ciò ricade al di là dei regno fisico (ma fu la base della fisica newtoniana). Perciò Einstein definì: due eventi, ad esempio due colpi di luce A e B, dati simultaneamente, se l'osservatore è seduto esattamente nel mezzo (M) tra A e B vede A e B simultaneamente. A, B e M sono posti nella linea inferiore del diagramma, la linea significa la terra, il terrapieno e le rotaie.




La linea superiore indica un lungo treno in movimento a velocità costante verso destra. M' è il centro della linea tra A e B sul treno in movimento. Nel momento, come testimonia un osservatore a terra, in cui i colpi di luce battono sui punti A e B simultaneamente, M' coincide con M. Ma dopo cosa succede? Un passeggero dei treno seduto su M' muove verso il fascio di luce emesso da B e viaggia in avanti sulla luce emessa da A. Dunque, egli vedrà prima B, poi A e quindi concluderà che B succede prima di A. Questo egli fa allo stesso diritto dell'osservatore su M quando ha confermato il sincronismo. Ne consegue che non è cosa di assoluta simultaneità. Ciascun quadro di riferimento ha il proprio tempo. Una data ha senso solo se noi conosciamo il sistema coordinato al quale si riferisce. Nel caso dei dipinti di de Chirico, l'orologio nella torre indica il tempo valido esclusivamente per la torre e per tutto ciò che si muove relativamente ad esso.
Se gli orologi della città di Parigi e del viaggiatore non sono sincronizzati, possono funzionare o più veloci o più lenti rispetto ad un altro. Tramite considerazioni che non possono essere dimostrate qui, Einstein dimostra che un passeggero su un treno troverebbe l'orologio della torre più lento del proprio e - in base al principio di relatività - l'orologio del passeggero risulterebbe lento in rapporto all'orologio della torre a chi stesse di fronte alla stazione! Per di più, misurando i rispettivi comandi, entrambi arriverebbero alla conclusione che i comandi dell'altro sono di scorcio in direzione del mutuo movimento. Dilatazione del tempo e scorcio degli assi, ossia la relatività dello spazio e del tempo, essenza della teoria speciale della relatività, servono a risolvere una contraddizione che era rimasta senza soluzioni soddisfacenti fino al 1905: la contraddizione tra il principio di relatività (come ho detto, già nota a Galilei) e quello che potremmo chiamare il principio di assolutezza, la costante universale della velocità della luce, in teoria e in esperimento, irrefutabilmente confermata nel corso del XIX secolo da Fizeau, Maxwell, Lorentz e altri. La contraddizione si rende ovvia al senso comune con l'aiuto della seguente illustrazione: immaginiamo un raggio di luce allineato ai binari rivolto in avanti come una freccia. L'aria è stata soffiata via. La luce viaggia alla sua velocità nota nel vuoto, relativa alla terra. Immagina ora un treno in corsa sui binari a velocità costante e nella stessa direzione della luce, ma più lento. Si potrebbe dedurre che la velocità del raggio di luce relativa al carro ferroviario sia la velocità della luce misurata prima meno la velocità del treno (proprio come la velocità di qualunque persona che cammini sul treno all'indietro deve essere sottratta dalla velocità del treno in maniera da calcolare la velocità di questa persona relativamente al terrapieno). Ma non è il caso. La costanza della velocità della luce rimane intatta, perché andando indietro da un quadro iniziale di riferimento a un altro, un osservatore dovrà applicare particolari trasformazioni matematiche (note come trasformazioni di Lorentz) che neutralizzano la differenza originariamente prevista. Aggiungo che queste dilatazioni del tempo e la contrazione delle distanze diventa percepibile, di sicuro, solo quando la velocità relativa si avvicina alla cifra di 186.000 miglia al secondo. Se una particella elementare rapida nell'Acceleratore Lineare fosse vicina alla posizione per osservare noi, noi ci trasformeremmo di fatto in esseri molto grandi, piatti e senza età, proprio come un quadro di de Chirico. Per riassumere, possiamo stabilire che treni e orologi giocano un ruolo decisivo nelle iconografie della fisica di Einstein e della Metafisica di de Chirico. Picasso, con il suo occhio per l'essenziale, nell'unico commento che gli viene attribuito sul collega italiano lo descrisse, come riferisce James Thrall Soby, "un pittore di stazioni ferroviarie". Le illustrazioni di Einstein sono tratte dalla sua descrizione popolare della teoria della relatività. Questo libretto fu pubblicato per la prima volta nel 1917 e ottenne vasta circolazione, specialmente dopo la spettacolare verifica delle sue predizioni grazie a un'eclisse solare avvenuta in Africa Occidentale nel maggio 1919.
Pertanto, si potrebbe obiettare che le invenzioni del pittore, in date come il 1912-14 fossero totalmente indipendenti dall'immaginario scientifico. Ma, da quanto risulta, l'esempio della ferrovia si trova già nel famoso scritto iniziale del 1905, le cui prime pagine sono perfettamente comprensibili anche dal lettore comune. Esso concerne la definizione del tempo e dice: "Dobbiamo tenere conto del fatto che tutti i nostri giudizi in cui il tempo ha una parte, sono sempre giudizi di eventi simultanei. Quando io dico, per esempio: 'Questo treno arriva qui alle 7', significa approssimativamente: Il punto segnato dalla lancetta sul mio orologio alle 7 e l'arrivo del treno sono eventi simultanei". Einstein non è l'unica connessione tedesca di de Chirico. Egli studiò all'Accademia di Monaco dal 1906 al 1910, conosceva benissimo il tedesco e leggeva Goethe in originale. Ebbe un'ammirazione particolare per Arnold Böcklin e Max Klinger ed amò profondamente gli scritti di Friedrich Nietzsche. Conobbe inoltre le opere del filosofo austriaco Otto Weininger, specialmente Sesso e carattere, la stranissima e controversa dottrina di un giovane che si sarebbe suicidato subito dopo la pubblicazione del libro.
Intorno al 1912-13 de Chirico iniziò a definire la sua pittura come "metafisica". L'impulso iniziale che lo portò a ciò rimane un mistero. Ma non ci sarebbe da stupirsi se egli avesse sentito dire degli studi pubblicati nel 1912 dal filologo classico tedesco Werner Jaeger sulla Storia e origini della Metafisica di Aristotele. Nel libro l'attenzione veniva richiamata sul fatto che la parola "metafisica" non ricorre nella metafisica di Aristotele. Il titolo fu scelto due secoli più tardi dal curatore delle lezioni del filosofo, dal momento che egli collocò gli scritti relativi "dopo" la Fisica di Aristotele ("metà tà physikà"). Nondimeno, in seguito il termine fu inteso in senso figurato, dal momento che l'opera riguardava la "Prima filosofia", rivolta alle prime e ultime cose "oltre" il mondo fisico. De Chirico offre una connotazione ulteriore a "metafisica". Egli è un artista filosofo e poeta che non dipinge "dal vero", ma "dal pensiero", ad esempio da pensieri congeniali ad Einstein. Io suggerisco, inoltre, di ritenere la "pittura metafisica" come una pittura che va "al di là della fisica". Tale inclinazione per la fisica si rivela consistente con un'osservazione di Erwin Panofsky riguardante la differenza generale tra scienze naturali ed umanistiche. Gli scienziati della natura si sforzano di rilevare le leggi sottostanti invariabili attraverso differenti correnti del tempo. Come disse Einstein una volta: "La politica è per un momento, un'equazione è per l'eternità". (Possiamo capire la conseguente malinconia del politico che non ha potuto raggiungere l'immortalità con libri, films, ecc.). Lo storico, dall'altro lato, tenta di ridare vita a morte ad opere del passato, coadiuvando così l'artista, il quale fissa il tempo in immagini eterne come quelle di de Chirico. Ne segue l'affinità fra lo scienziato e l'artista, almeno per quanto riguarda la loro attitudine rispetto al tempo.
Nel procedere dalla teoria speciale alla teoria generale della relatività, scopriamo un altro parallelo nelle opere di de Chirico. Alla fine del 1915 o all'inizio del 1916, dopo il suo ritorno in Italia da Parigi, esse cambiano totalmente carattere. A Ferrara l'artista fu arruolato in Fanteria e collocato in un ospedale militare, ma ebbe sempre il tempo per dipingere e "per pensare un po' all'arte e alle cose della mente che sono sempre state il solo fine della nostra vita".
De Chirico aveva vissuto la sua infanzia in Grecia, dove suo padre lavorava come ingegnere ferroviario, e aveva trascorso i suoi anni di studente a Monaco. Nel suo paese natale egli aveva vissuto poco. Dopo il suo ritorno nel 1915 quasi subito smise di dipingere Piazze d'Italia, che erano state prima il suo soggetto principale, e forse anche uno spunto nostalgico durante la permanenza a Parigi dal 1911 al 1915. Da quel momento, egli prese a dipingere interni. Il mondo si era trasferito dall'esterno all'interno, per così dire. Spesso il mondo esterno è ancora presente in una stanza come una scossa reminiscente rappresentata da un quadro con dentro un quadro come nel magnifico Interno metafisico con faro (1918). Ma questo serve solo a sottolineare il reale isolamento della stanza. Le grandi piazze italiane erano già molto calme. Il silenzio regnava su di esse, interrotto solo di tanto in tanto dal fischio frenetico della locomotiva indicante l'effetto di Doppler. Questi Interni metafisici sono sigillati ermeticamente. L'aria era già molto sottile nelle Piazze. Ma qui dentro non rimane aria. Sono stati definiti interni claustrofobici e si sarebbe tentati di parlare di una fase claustrofobica in consecuzione a una fase agorafobica.
Lo stesso risvolto si può trovare nell'opera di Einstein. Nella spiegazione della Teoria speciale della relatività, egli usa treni che marciano su una linea diritta a velocità costante su un piano infinito. Nella Teoria generale della relatività egli, per un attimo, ritorna al suo esempio immaginando la situazione di un treno che frena. Anche de Chirico tornerà indietro alle sue scene urbane su un terreno di complicazione aumentata. L'immagine chiave iniziale di Einstein, tuttavia, è quella di una "scatola chiusa a forma di stanza" che per mezzo di una corda fissata a un gancio esterno è condotta nello spazio cosmico da qualche essere non specificato a una velocità uniformemente accelerata. Ogni persona (oppure oggetto) all'interno di questo contenitore senza finestre sarebbe pressata "in giù" verso quello che si potrebbe chiamare il "pavimento" e intenderebbe la propria situazione come effetto del piano di costante gravitazione. Probabilmente si meraviglierebbe che il contenitore non cada giù per effetto della gravità. Ma guardando verso il cielo e notando il gancio, concluderebbe che la scatola è sospesa a una corda. Dunque, il principio di relatività è valido non solo rispetto ai quadri galileiani di riferimento, ma anche rispetto a quadri di riferimento in accelerazione l'uno rispetto all'altro. Le equazioni di questa teoria generalizzata della relatività restano valide per ogni quadro di riferimento, in qualunque stato di moto. Dopodiché, diventa ovvio che lo spazio-tempo continuo relativo alla relatività speciale (il cosiddetto universo di Minkowsky) che è euclideo, diventando non-euclideo in relazione alla relatività generale, determina che tutte le coordinate rigide (cartesiane) debbano essere rimpiazzate da quelle definite dal matematico tedesco Carl Friedrich Gauss. Nel sistema di coordinate di Gauss, la più breve connessione tra due punti non è una retta, ma una curva chiamata geodesica. Questo termine rimanda ai rilevamenti terrestri effettuati per triangolazione, dove alcune linee risultano curve per effetto della curvatura terrestre.
L'"Universo come un tutto" degli assunti di Einstein rassomiglia anche a un globo: è una sfera quadrimensionale che ha un volume finito, ma senza confini. Gli Interni metafisici di de Chirico sono pieni di regoli, squadre, curve francesi, pali di misurazione, mappe e pietre miliari o punti di rilevamento, come i fari. Ma le mappe sono di paesi sconosciuti, fantastici. La quieta presenza di tanti utensili d'ingegneria rende le scene inquietanti, da fare accapponare la pelle, come il mare in tempesta che si rompe contro la costa rocciosa e la girandola bloccata nella sua scatola al fianco. Geometria e spazio pittorico diventano sempre più disintegrati e indeterminati. In queste enigmatiche ed oppressive camere si vanno a perdere i rapporti. La visione comune del mondo è distrutta, ma una visione più libera e vasta si leva dalle rovine. Le affinità fra de Chirico e Einstein proseguono quando negli anni Venti Einstein rifiuta di seguire il cammino intrapreso dalla fisica dell'indeterminazione e de Chirico rifiuta di unirsi ai surrealisti, i quali elogiavano entusiasticamente il suo primo periodo, la pittura metafisica, come proprio punto di partenza. Io non posso provare con evidenza di documenti che ci fu, in un certo punto del tempo e dello spazio, un contatto tra de Chirico e Einstein. Dall'altra parte, nessuno può provare a me il contrario. E questo specialmente perché il pittore è veramente riservato sulle possibili fonti della sua arte o su qualunque spiegazione "razionale" di essa. Tuttavia, un incrocio parallelo con un altro Premio Nobel della fisica fa emergere la figura del primo vincitore del premio: nel 1895 il Professor Wilhelm Conrad Röntgen a Würzburg, Germania, aveva scoperto una sconosciuta specie di raggi (lui supponeva) che potevano attraversare libri, legno e carne, le ossa a minore estensione e il piombo non del tutto e che potevano essere fissati su lastre fotografiche. Per la natura sconosciuta di tali raggi, egli li chiamò "raggi X". La novità ebbe effetto immediato e spettacolare sia sul mondo scientifico che presso il pubblico normale.
Qui si vede una pubblicità dei raggi X uscita a Parigi alla fine del secolo:



Nel 1919 de Chirico, dettando la sua definizione finale dell'arte metafisica, fa uso di una comparazione con questo fenomeno fisico: "…ogni cosa ha due aspetti: uno normale che vediamo sempre e che vedono gli uomini in generale, l'altro, lo spettrale o metafisico che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari non possono apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi X, per esempio". La lettera X ha un significato speciale per de Chirico. All'inizio della pittura metafisica, intorno al 1911, all'età di 23 anni, lo vediamo muoversi a suo agio in quattro lingue: greco, italiano, tedesco e francese (conosceva piuttosto bene anche il latino). Dunque, egli era a conoscenza del fatto che il segno X in greco designava la lettera Chi, ossia l'iniziale del suo nome. X (Chi) divenne il suo monogramma. Così, essa appare in diversi dipinti del periodo, in una certa maniera indipendente autonoma, ed è molto di più di una semplice firma; essa significa che nel quadro c'è un autoritratto. Questo fantastico enigma riguarda L'énigme de la fatalité (1914). Il quadro è un singolare anticipatore delle "shaped canvas". Il suo contorno costituisce la metà inferiore di una X. In basso a sinistra, segnata su un muro tra gli archi, c'è una grande X. Questa Chi è di fronte a un grande guanto di ferro, e "mano", in greco, è "cheir". De Chirico gioca con queste correlazioni senza arrivare fino alla chiromanzia. Mentre in questo quadro la X è piuttosto sottile e schematica, essa aumenta in plasticità nell'opera posteriore, Il linguaggio del bambino, eseguita nel 1916 a Ferrara. In uno di quegli interni claustrofobici, una brioche a X, appoggiata, è circondata da oggetti non identificabili e che potrebbero essere tracce di un esercizio chirografico. Il titolo appare alquanto strano. Dall'altro lato, però, esiste un linguaggio più comprensibile a un bambino di quello dei dolci? La brioche a X è una specialità dei panifici di Ferrara, noti in tutto il mondo per la qualità del loro pane. Durante la guerra, delizie simili raggiungevano la qualità di un miraggio. Ma de Chirico intese alludere anche alla sua infanzia, perfino al suo stadio embrionale. E riferimento, qui, è il cromosoma X, che è uno dei due cromosomi sessuali, precisamente quello dotato di carattere ermafrodita. Si direbbe che de Chirico abbia rappresentato un codice genetico al forno. Oggi non posso entrare in dettagli a questo riguardo, non ce n'è il tempo. E non ho il tempo per raccogliere le relazioni tra la psicologia e la pittura metafisica. Ci tengo tuttavia a precisare che il bambino psicologo tedesco William Stern, il quale scrisse un libro sul linguaggio del bambino, introdusse nel 1916 il concetto di quoziente di intelligenza, in contemporanea con l'americano Lewis Termen, attivo a Stanford, nel cui testo erano inclusi dei problemi sui bambini di otto anni in tutto simili ai problemi posti da alcuni quadri di de Chirico. In tedesco, io ora parlerei di non voler correre fuori di Atene, un proverbio tedesco derivato a sua volta da uno greco (lo usò Aristofane in una commedia) e nel mio dizionario ho trovato la stranissima traduzione: "portare carbone a Newcastle", ma sospetto che potrebbe mandare vagamente fuori strada. Un più credibile equivalente californiano potrebbe essere non voler portare la conoscenza ai saggi o all'intelligenza degli studenti dell'Università di Stanford. Dove il prodotto si trova in abbondanza, non è necessario aggiungerne dosi supplementari. Vorrei concludere precisando: Einstein e de Chirico credettero in un Universo statico ed eterno. E allo stesso modo in cui Einstein non volle andare fino in fondo a cercare l'ultima equazione dell'eternità, conciliando la Teoria della relatività con il principio di indeterminatezza, così de Chirico si rifiutò di sciogliere il proprio problema personale. Egli fuse il suo monogramma Chi e la lettera X, simbolo di un fattore sconosciuto, in una equazione semplice: Io, de Chirico, sono un mistero.

Duchamp


La fotografia è praticata e accettata in tutte le forme: documentaria, pittorica, di rivista, di reportage, di moda, pornografica, erotica e paesaggista, semi-amatoriale e professionale, di posa, premeditata e costruita o spontanea e presa dal vivo, fatta con il medium chimico tradizionale o fabbricata e ritoccata dal computer, stampata a mano o con procedimento industriale, presentata con la stessa solennità della pittura oppure appesa in fretta o ancora proiettata in dia, esplosa in vignette multiple o ingrandita in dimensioni monumentali o enfatiche.

Per queste fotografie anche ogni soggetto è buono: l’autoritratto, il corpo intimo celebrato, accettato, malato, sfigurato o mutilato, il sesso sordido o glorioso, l’architettura, la città, la folla, i luoghi pubblici, l’iconografia religiosa, la biografia, il fotoromanzo, l’auto-fiction, il documento, il sociale, ecc., ecc.

In rapporto alla pittura che richiedeva tempo e concentrazione visiva, che poneva la contemplazione in una parentesi di tempo sospeso, questa fotografia è leggera, discreta; pesa poco, anche quando i formati sono immensi, o il contenuto sensazionale o choccante. Sono immagini sulle quali si passa rapidamente, sulle quali si scivola via e che si rivolgono a una attenzione incerta. Per riprendere una espressione inventata all’inizio da un pittore, Bill de Kooning: con essa, content is a glimpse, il contenuto è un lampo, una visione fuggitiva, uno sguardo di sfuggita.

Le fotografie, dunque, hanno rimpiazzato le pitture sui muri. Esse vestono di un medium contemporaneo un accademismo rassicurante e il borghese dinamico affrettato accetta in foto ciò che non può più vedere in pittura.

Il genio di Marcel Duchamp fu di introdurre con i readymades, questi oggetti già fatti, finiti o pronti all’impiego, delle strategie di produzione che operano su tutti i fattori costitutivi dell’arte (l’autore, il modo di esporre, il pubblico, l’oggetto), per trasformare sul filo di una serie di operazioni e di avvenimenti una cosa qualsiasi, ma fondatamente scelta in un’opera che è anche insieme una non-opera. Le pratiche minuziose di Duchamp, riflettute, premeditate fino a integrare gli effetti che provocano, hanno come effetto malizioso e provocante quello di trasformare in un’opera un “non importa cosa”, che all’arrivo non è più un non importa cosa e non rivela a posteriori neppure l’essere stata quel non importa cosa che si credeva. Di queste opere in fondo solo le procedure di costituzione (e non solo di produzione perché ci sono degli aspetti solo intellettuali e concettuali in questo processo di ritardamento) ne fa delle opere. Marcel Duchamp ha così messo in piedi fin dagli anni 1910 una concezione puramente procedurale dell’arte, nel senso in cui i filosofi parlano della teoria procedurale della giustizia di John Rawls o della concezione procedurale della comunicazione politica secondo Habermas. Con Marcel Duchamp, l’arte non è più sostanziale ma procedurale, non dipende più da un’essenza ma dalle procedure che la definiscono. (Vittorio Losito blog)